Bitossi Remo
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Bitossi Remo
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"Quando ero ragazzo a Camaioni c’era la fabbrica dove viveva il nonno con 11 figli, Terrecotte Bitossi Oreste, poi n’aveva un altra a Brucianesi proprio sull’Arno, ero ragazzo e si tornava da scuola"[continua a leggere]
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"Allora comandavano i nonni, si cominciava con il pestare in terra. Dopo il periodo della guerra si cominciò a fare le terrecotte, poi arrivò la crisi con questa cosa della plastica e ci ammazzò tutti. Il nostro prodotto era basato sugli orci per l’olio, allora i contenitori non c’erano di acciaio inossidabile, e le conche le avevano quasi tutte le famiglie, chi l’aveva piccina chi l’aveva grossa, i recipienti per lavare e per fare i bucati, i contadini l’avevano per fare i ranni, per ramare le viti. Dal ‘55 fino al ‘77 sono stati gli anni migliori della mia vita perchè ero in fabbrica proprio all’Alvino Bagni [...] poi dal ‘75 mi venne l’idea di mettermi per conto proprio [la fabbrica] mio nonno la comprò dai Corradini era proprietà dei Corradini. Allora le fabbriche vecchissime delle terrecotte, perchè’ erano tutte sull’Arno? Per prendere con facilità la creta dall’Arno ora è facile, prima veniva lavorata con i piedi, dalla mattina alla sera, [...]. Nel tempo della guerra ci fu la scarsità del carbone, perché queste fornaci durante la guerra andavano a carbone, allora provarono con il truciolame, fa fiamma, ma quei forni lì hanno la fiamma al rovescio, la va in cima e poi torna indietro, [...] si immagina lei di truciolo quante ne dovevano buttare. [...] Era rimasto uno dei Corradini era il capo di codesti calcatori alla Manifattura, ho conosciuto anche lui, era più giovane del Corradini di Brucianesi, proprio l’erede, vendettero perchè non aveva figlioli e rimasero soli. [...] Noi a Brucianesi ci s’aveva la fornace [grande] come questa stanza e sopra si aveva il fornaciotto, e sotto c’era la galleria dove si buttava le fastella, era per dire dodici metri, questa galleria, per buttare le fastella per arrivare fino in fondo, si aveva una candela di ferro con una campanella ed un forchettone di ferro con il manico di legno per spingerlo fino in fondo, si faceva foco 24 ore, quando si faceva foco con questa fornace si consumavano 1500-2000 fascette, si faceva la catasta e si durava 24 ore.Allora le conche per cuocere le venivano messe [...] ci [si] metteva tre pezzi di mattone ed un’altra conca sopra, i mattoni servivano per sollevarlo e non farle toccare tra di loro per arrivare fin su anche fino a dieci [...], in cima alla conca si mettevano i vasi più piccini che c’entravano dentro, per non sprecare tempo e poi più piena è la fornace meglio la cuoce, [...] e gli orci uguale, erano un pò più difficili non si infilavano dentro si dovevano mettere bocca bocca e l’altra parte, il sotto insieme [...] siccome c’erano gli archi, prima di mettere le conche e gli orci c’era il piano dei mattoni e si mettevano incrociati per far passare il foco e far passare preciso, si chiamavano mani, ho fatto due mani di mattoni, il foco ci lavorava bene. Per fare le terrecotte come si avevano noi 24-30 ore, la cottura la si vedeva ad occhio. La porta veniva chiusa con i mattoni e poi con della terra liquida impataccata perchè un passasse il foco dalle crepature dei mattoni ed in cima lasciavano un buco per vedere quando era cotta, quando era vicino e facevano fuoco, le terrecotte le fregavano nella volta. [...] La si chiamava la volta, c’era una stanza e la fornace aveva tre buche, quando facevano il fuoco, giù buttavano le fastella e da codeste buche usciva la lingua di fuoco [...] di notte dal Poggio alla Malva di là dall’Arno vedevano le fiamme [...]. Qui hanno tutti abbandanato, le terrecotte sono tutte perse, per fare gli orci, sa come vengono fatti? ora hanno fatto le presse idrauliche, fanno delle cose favolose,[...] non gli si allarga, noi quando si faceva a mano a “bacozzoli”: il mi’ zio il mi’ babbo erano tutti ballerini, lo sai perchè? eran su il pancazzu, uno scaleo e con codesto facevano un lucignolo grosso come un salame, lungo così e se lo mettevano sotto il braccio e con queste due mani, una mano di dentro se no si sganascia, e con l’altra l’appiccicava fino ad una certa altezza al massimo della pancia e poi gli davano codesto filo sennò si sganasciava, ne mettevano una decina quindici e poi quando diventava duro poi ripartivano, e quando arrivavano in cima si riallargavano e gli facevano una bocca, il collo era massiccio. [...] I miei avevano la produzione e poi portavano a domicilio dimorta roba [...] li portavano ai magazzini a Serravezza, a Carrara addirittura con la barca andavano a Livorno perché la portavano in Sicilia ed in Sardegna. Con la barca andavano a Livorno per ritornare indietro tutto ad alzate, a piedi, uno dentro in barca con il palo [...] ed uno per terra con le alzate, allora Arno era come una strada, la veniva chiamata “la viazzaia”. [...] Io guardi se sono vivo, un non so nemmeno se c’è Quello lassù che mi ha protetto, sono rimasto due volte sotto il bombardamento, l’esplosione dei nove vagoni di torpedine volò tutto fino a Malmantile [...] a noi volò via lo stoino dalla finestra e si vide una fiamma, quando fecero saltare la polveriera. I partigiani diedero fuoco e morirono tutti [...] i caccia aerei americani girarono veloci per scappare, le bombe andarono una nell’orto ed una in pieno sulla casa io mi ritrovai sull’Arno, il mio babbo non sapeva dov’ero [...] La vita è così e io l’ho scampata, ho avuto fortuna [...] Io mi misi in proprio, in un paese come Brucianesi non c’era nulla: boscaioli contadini, qualcuno un po’ sbandato, io facevo un prodotto che richiedeva un po’ di manovalanza, per le immersioni, c’erano due fissi, poi fissi 5 per graffiare, quattro colorire, 3 tornitori, e mia moglie."
Trascrizione parziale dell'intervista
(Forme di storia, pp. 188-190).
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Bitossi, Remo
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ceramista e titolare della Ceramiche Creta, ex dipendente azienda di ceramiche Alvino Bagni
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Floria, Silvia
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Galantini, Francesco
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Montelupo Fiorentino
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17 novembre 2017
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Biblioteca comunale di Lastra a Signa, titolare dei diritti delle immagini digitali
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