Italica Ars

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Italica Ars
Date di esistenza
1924-
Note biografiche o storiche
Tito di Antonio Bellini, di San Martino a Gangalandi, fu il fondatore della manifattura di ceramiche artistiche Italica Ars di Lastra a Signa. Presente sulla scena politica fin dal 1923 come membro del Consiglio comunale, nell’aprile del 1924 rivolse un’istanza al sindaco Guglielmo Lotteringhi Della Stufa per richiedere il permesso di costruire “uno stanzone con unita fornace in un terreno di sua proprietà, situato lungo via Vecchia Pisana, in prossimità dei Macelli”, alla fine dell’attuale via Armando Diaz. L’attività intrapresa da Tito Bellini crebbe così velocemente che già nel novembre del 1925 il corpo di fabbrica risultava composto da cinque stanze adibite a uso industriale. Nel 1931 la manifattura fu incaricata dall’amministrazione comunale della fornitura di “2352 piastrelle per il rifacimento della numerazione civica”, in concomitanza con il VII Censimento della popolazione. Bellini decise però di cedere la proprietà della manifattura e intraprendere le professioni di pubblicista e di impiegato. Nell’agosto del 1946 lasciò infatti il territorio lastrigiano per trasferirsi a Verolanuova, in provincia di Brescia, con la moglie Lina Zingoni e i figli Mauro e Antonio.
Nel 1933 l’Italica Ars venne ceduta alla famiglia Corsani, impegnata fino a qualche anno prima nella produzione di fodere per cappelli. Il nuovo proprietario Giulio Corsani, con l’aiuto dei figli Stelio e Danilo, l'ampliò ulteriormente con l’aggiunta di due nuovi locali. Fu il periodo ricordato come quello delle Ceramiche Corsani.
La famiglia Corsani nel corso degli anni riuscì a valorizzare e ampliare la produzione dell’azienda: Stelio rimase per tutto il tempo accanto al padre in fabbrica mentre Danilo fu inviato negli Stati Uniti alla ricerca di nuovi e più ampi mercati. Negli anni Trenta la fabbrica, allora presente sul mercato con una vasta gamma di articoli come “maioliche, terraglie, terrecotte artistiche, pannelli decorativi, articoli da regalo, bomboniere”, continuò ulteriormente il suo sviluppo sia sul piano produttivo che su quello della ricerca. Gran parte della crescita aziendale di questo primo periodo fu però merito di Stelio Corsani, descritto dalla figlia Simonetta come una persona dotata di un innato spirito creativo, più interessata alla sperimentazione artistica che agli aspetti commerciali. Fu proprio Stelio infatti intorno al 1936 a creare alcuni nuovi smalti color turchese e rosso corallo che caratterizzarono i campionari e la produzione principale di quegli anni. Gli smalti, la cui formulazione rimase per sempre un segreto di fabbrica, furono creati macinando i materiali di scarto della lavorazione delle pietre stesse: mai nessuna delle manifatture ceramiche concorrenti riuscì a riprodurli.
La produzione di questo periodo comprendeva maioliche in stile sia tradizionale che di stampo più moderno. Stelio Corsani viene ricordato anche per aver ideato nuove forme e modelli: alla fine degli anni Trenta infatti brevettò un Servito aerodinamico in stile futurista e una serie di ceramiche da tavola (Dono alla puerpera), con cui ottenne un importante riconoscimento, come il primo premio della Sezione VIII al IV Concorso Nazionale della ceramica svoltosi a Faenza nel 1941.
L’Italia era però ormai in pieno regime fascista e Stelio decise con coraggio di non ritirare quel premio: avrebbe dovuto infatti indossare per l’occasione la camicia nera. In questo periodo crebbe il numero delle maestranze formate direttamente in fabbrica secondo le consuetudini della tradizione artigiana. I bombardamenti non provocarono danni allo stabilimento e i Corsani continuarono a occuparsi con cura della propria azienda anche durante il periodo bellico, sostenendo con generosità i propri operai e dipendenti anche con aiuti alimentari. Tuttavia le difficoltà economiche causate dalla guerra avevano messo alla prova duramente la famiglia Corsani. Stelio si ritrovò solo e con problemi di salute mentre la permanenza di Danilo in America si rivelò infruttuosa. Fu costretto pertanto a lasciare la proprietà della fabbrica favorendone la trasformazione in cooperativa e cedendo l’attività a titolo quasi gratuito ai propri dipendenti, divenuti intanto soci. Tra questi figurvano: Norigo Berti, Manlio Benelli, Giuseppe Cavazza, Turiddu Mori, Vasco Campatelli. In quello stesso periodo la madre di Stelio, Celide Andrei, riuscì ad aprire un maglificio nei locali posti sotto l’abitazione, risollevando con intraprendenza le sorti di tutta la famiglia Corsani.
La nuova Società Cooperativa Manifattura Maioliche d’arte è attestata nei documenti d’archivio sin dal 1947, sempre con sede in via Diaz: una denuncia degli operai addetti ai lavori pesanti trasmessa al Comune proprio quell’anno ha consentito di scoprire che vi lavoravano nove decoratori, due fornaciai, quattro “terratori e tornianti con spinta a piede”, un “impastatore a braccia”, impegnati per una media settimanale di cinquantaquattro ore lavorative.
La proprietà della fabbrica di ceramiche da parte della famiglia Corsani cessò legalmente il 31 marzo del 1948 con il passaggio alla neocostituita Cooperativa che ne riprese il nome originario di Italica Ars. Tra il 1951 e il 1955 furono concessi nuovi ampliamenti e modifiche ai locali della fabbrica, tra cui la costruzione di “uno stanzone con forno di 270 mq” posto sopra uno scannafosso appositamente coperto. Le normative dell’epoca impedivano lo scarico di qualsiasi tipo di materiale nel torrente Rimaggio e dunque la proprietà decise di costruire “un forno elettrico amovibile”: si trattava di un impianto innovativo e sicuramente più adeguato alle moderne tecniche di produzione rispetto alle più tradizionali “fornaci, fucine o fonderie”.Dall’esame delle pratiche edilizie è stato possibile ricostruire gli ambienti di lavoro della “fabbrichina” che si presentava a quell’epoca così: al piano terreno la stanza con il forno e il magazzino, al primo piano gli uffici, le sale per i campionari, la stanza per i decoratori e l’essiccatoio. Nel 1951 gli addetti totali erano quarantaquattro.
Tra il 1953 ed il 1956 in seguito a un periodo di crisi aziendale vi fu un riassetto societario che permise alle giovani maestranze e agli operai assunti in precedenza di diventare soci. Negli anni successivi gli addetti totali salirono a circa una settantina (di cui ventitrè erano soci). Grazie all’acquisto di nuovi locali in via Livornese –già appartenuti alla fabbrica di ceramiche Arno – fu possibile poi delocalizzare la produzione dei semilavorati realizzati con presse e calchi e spostare anche i forni per la prima cottura dei manufatti.
Durante la presidenza di Danilo Romagnoli, eccellente tornitore in fabbrica, fu nominato direttore Turiddu Mori, uno dei più valenti pittori dell’Italica Ars e uno dei primi soci della cooperativa nel dopoguerra, rimasto in carica fino al 1962. Succesivamente la direzione artistica fu affidata a Ferrero Mercantelli, mentre la presidenza passò a Ferrero Corsinovi, in carica fino agli anni Ottanta.
Ferrero Mercantelli nacque a Lastra a Signa nel 1933. Venne assunto all’Italica Ars da Giulio Corsani a soli 14 anni come apprendista tornitore, mansione che esercitò per ben dieci anni prima di ottenere incarichi di maggiore rilievo e di seguire i rapporti con fornitori, clienti e rappresentanti. Sotto la sua direzione artistica la manifattura attraversò una fase di grande rilancio e di rinnovamento. In questo periodo la “fabbrichina” realizzò il famoso “rosso nuvolato” grazie a Mercantelli che ne intuì le potenzialità sul mercato e grazie alla continua sperimentazione messa in atto da Silvano Vannuzzi, in quel periodo a capo del settore pittori. Per riuscire a ottenere questa nuova variante di rosso – colore da sempre di difficile realizzazione in ceramica – fu necessario utilizzare diversi tipi di smalti e diverse tecniche di lavorazione: dopo una prima mano con un particolare tipo di nero, i pezzi venivano “ripassati” con due tipi di rosso, uno proveniente dall’azienda Colorobbia di Montelupo, l’altro dalla ditta Romer di Sesto Fiorentino; completava poi la lavorazione un altro smalto, proveniente da un terzo colorificio, steso con l’aerografo. A cottura ultimata, le diverse mani di smalti e vernici restituivano un effetto tipo martellatura e granito, detto “nuvolato”, rosso su sfondo nero. Con la stessa tecnica furono creati altri smalti nei colori giallo e verde, aprendo il mercato ai grandi magazzini e a clienti tedeschi, americani e giapponesi. Il nuovo prodotto si rivelò così vincente da determinare una crescita esponenziale della produzione durata fino agli anni più recenti.
Lavorarono all’Italica Ars per periodi più o meno brevi anche Bruno Bagnoli, Vanni Castellani, Mario Zaccherelli. Di notevole importanza per la fabbrica fu anche la frequentazione dell’artista Antonio Manzi, grazie al sodalizio creatosi con il direttore Ferrero Mercantelli che ne intuì le grandi capacità artistiche.
A partire dal 1977 Antonio Manzi ebbe l’opportunità di sviluppare le proprie creazioni ceramiche avvalendosi anche degli insegnamenti di Silvano Vannuzzi e delle maestranze presenti in fabbrica in quegli anni. Intanto già dal 1965 l’Italica Ars aveva tentato di adeguare la propria produzione alla crescente richiesta di mercato anche attraverso la meccanizzazione e la lavorazione in serie.
Venne infatti ritenuto necessario ampliare ulteriormente gli spazi produttivi, ormai quasi del tutto saturi. La posizione dello stabilimento a ridosso del torrente Rimaggio ne aveva impedito l’espansione in senso orizzontale (soluzione che avrebbe velocizzato il passaggio tra le fasi di lavorazione). Lo sviluppo in verticale era tuttavia ostacolato da vincoli edilizi e paesaggistici. Tra il 1969 e il 1971 prese dunque l’avvio un nuovo progetto di ampliamento sul lato della piazza dei Macelli che non venne però interamente approvato dalla Commissione edilizia, perché in contrasto con il Piano di Fabbricazione dell’epoca.
In quell’occasione vennero comunque riconosciute le difficoltà tecniche di produzione e soprattutto le cattive condizioni igienico-sanitarie dei lavoratori addetti ai forni. Solo con l’entrata in vigore del nuovo Piano Regolatore Generale approvato nel 1974 venne concesso finalmente un aumento dei volumi.
Alla fine degli anni Settanta l’azienda, che nel frattempo si era trasformata in una Società a responsabilità limitata, conobbe una nuova fase di rilancio della produzione, soprattutto grazie alle capacità imprenditoriali di Mercantelli e a quelle dei validi collaboratori che si avvicendarono nei diversi reparti.
Nei campionari di quegli anni le serie “naïf ”, “navajo”, “laccato”, “pietra”, “liberty”, “paesaggio toscano”, si rivelarono innovative, riconoscibili e di facile esecuzione: ne vennero prodotte e vendute ingenti quantità, destinate soprattutto ai grandi magazzini italiani e stranieri.
Negli anni Ottanta il settore del campionario venne affidato a Ivo Lazzeretti, che era entrato in fabbrica a soli 15 anni come ragazzo di bottega autodidatta grazie a una grande passione per il disegno. Si era in parte formato anche al Villaggio Artigiano di Signa dal maestro Fantozzi.
Superato il momento di crisi aziendale – dovuto principalmente all’adeguamento alle nuove normative contro il piombo nei rivestimenti ceramici destinati ad usi alimentari – nel periodo compreso tra gli anni Ottanta e il Duemila l’Italica Ars conobbe un nuovo momento di crescita. I clienti non imposero più le loro richieste, come avveniva nei decenni precedenti un po’ in tutte le manifatture del comparto ceramico della zona, ma cominciarono a scegliere pezzi e quantità attraverso cataloghi e campionari sempre rinnovati, secondo un’organizzazione più moderna e meno artigianale. L’azienda inoltre partecipò alle più importanti fiere campionarie del settore, come il Macef di Milano. I soci dell’Italica Ars crebbero ancora di numero e, compresi gli operai, si arrivò a circa 120 dipendenti, con un indotto produttivo che coinvolgeva anche molti piccoli laboratori artigiani della zona, soprattutto per la realizzazione di modelli e semilavorati.
La continua ricerca e sperimentazione dei colori e della loro composizione, le novità proposte nei campionari, la quantità dei manufatti, il mutato rapporto con i clienti furono alcuni dei principali meccanismi che contribuirono a tenere in vita a lungo l’Italica Ars. L’azienda ceramica tenne il passo con le richieste di un mercato sempre più competitivo e agguerrito almeno fino all’epoca contemporanea, quando i processi di globalizzazione
hanno imposto diverse condizioni di produzione e vendita.
Nel 2009 l’azienda è stata posta in liquidazione.
( (Forme di storia, pp. 129-136).
Forme di storia: la ceramica nel territorio di Lastra a Signa
Relazione CPF
Bellini, Tito di Antonio
Corsani, Stelio
Mercantelli, Ferrero
Bagnoli, Bruno
Lazzaretti, Ivo
Manzi, Antonio
Luogo
Lastra a Signa
Titolare dei diritti
Biblioteca comunale di Lastra a Signa, titolare dei diritti delle immagini digitali
Titolo
Italica Ars

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