Dini & Cellai

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Dini & Cellai
Note biografiche o storiche
La storia della Dini & Cellai ‒ una delle più importanti fabbriche sorte sulla scia della Manifattura di Signa nei primi del Novecento ‒ ebbe inizio nel 1902 con la costituzione di una società fra Gino di Ernesto Dini, nato e residente a Ponte a Signa e Giuseppe di Raffaello Cellai, nato a Vienna e residente a Firenze, ambedue scultori.
La ragione sociale Dini & Cellai terrecotte di Signa, che contiene un esplicito riferimento alla sede della pregiata manifattura, ebbe per oggetto la produzione e la vendita di manufatti in ceramica e terracotta, riproduzioni di opere antiche e di epoca rinascimentale di gran moda a quell’epoca. La sede di fabbricazione si trovava nel comune di Lastra e precisamente nella frazione di Ponte a Signa in via di San Martino (in prossimità della futura Alfa Columbus), mentre la sede legale e anche quella di vendita erano ubicate strategicamente a Firenze, in via dei Fossi n. 3.
Nell’atto costitutivo fu stabilito che la società avesse una durata di dieci anni, dal primo settembre 1902 al 1 settembre 1912 e che il capitale sociale versato avesse un importo complessivo di lire 3.340 e centesimi 60.
Tra i patti sottoscritti da Dini e Cellai ve ne erano alcuni che regolavano anche le funzioni e i rapporti tra i soci: si precisava ad esempio che la compera di eventuali modelli doveva essere fatta di comune accordo e in presenza di entrambi i soci, mentre dell’acquisto delle materie prime e degli attrezzi se ne sarebbe occupato il solo Gino Dini. Era vietato inoltre “esercitare per proprio conto la medesima industria ed il medesimo commercio esercitato dalla società e aprire altri negozi o fabbriche dello stesso genere e ciò tanto in nome proprio, quanto sotto il nome di altri”, essendo i soci stessi “chiamati ad impiegare l’opera propria e la propria capacità ed operosità a vantaggio e per il maggior incremento dell’industria sociale [...], firmato Gino Dini e Giuseppe Cellai [...], regnando S. M. Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della nazione re d’Italia, l’anno 1902, questo dì due del mese di settembre in Firenze, in via Calzaioli n. 9 ”. Nel primo periodo di attività la Dini & Cellai ottenne importanti riconoscimenti, come la medaglia d’oro all’Esposizione Mondiale di Saint Louis del 1904.
A causa degli esigui finanziamenti stanziati dal governo le manifatture artistiche italiane che poterono partecipare all’Esposizione furono purtroppo poche. La Dini & Cellai riscosse comunque un grandissimo successo e le terrecotte fatte alla maniera della Manifattura di Signa cominciarono a diffondersi anche negli Stati Uniti.
Un altro importante traguardo fu raggiunto grazie alla partecipazione all’Esposizione di Milano del 1906 in cui la Dini & Cellai ottenne il Gran Diploma d’onore: come riportarono le cronache dell’epoca, i manufatti prodotti dall’azienda erano così ben eseguiti che “ogni appassionato dell’arte, che ha il sentimento dell’estetica, del buon gusto sente vivo il bisogno di aver nei propri appartamenti una almeno di queste pregevoli riproduzioni”.
A quell’epoca la manifattura impiegava 4 operai. A livello locale Gino Dini aveva raggiunto uno status sociale abbastanza elevato, tanto che il suo nominativo è attestato in maniera continuativa tra il 1904 ed il 1926 nella lista degli industriali elettori del Collegio dei Probiviri: “Dini Gino fu Ernesto, nato a Lastra il 3 ottobre 1866, risulta risiedere a Porto”, come “fabbricante di ceramiche” e il luogo di esercizio è genericamente indicato come “Lastra a Signa”. Nonostante la presenza del Collegio le questioni lavorative tra imprenditori e operai furono sempre molto tese: le prime agitazioni dei lavoratori nell’area delle Signe ebbero luogo tra il 1896 ed il 1897, con il famoso sciopero delle trecciaiole. L’esperienza delle trecciaiole scosse gli animi anche di altri lavoratori, come gli operai della Dini & Cellai di Ponte a Signa. I fatti furono riportati su La Riscossa, un settimanale del partito socialista delle Signe e di Campi Bisenzio, fondato il 1 maggio del 1911: sul numero del 9 luglio 1911 venne raccontata proprio la protesta dei ceramisti che denunciavano le angherie dei datori di lavoro: "Il Dini, infatti, senza dar preavvisi, il sabato, quando gli operai si recano a fare il conto per il lavoro compiuto, decresce di un paio di lire le tariffe prestabilite per ogni operaio [...]. Quando i rappresentanti delle organizzazioni domandano un colloquio per sistemare la vertenza, gli dice di rivolgersi contro di loro se andassero a parlare di sciopero".
Il 20 ottobre del 1911 i due soci apposero una modifica all’atto costitutivo della società, circa la firma congiunta che risultava poco comoda per concludere affari e trattative: “[...] ciascuno dei soci rappresenterà da solo la società in tutti i suoi atti o contratti di fronte a terzi e così anche in qualunque obbligazione di qualsiasi natura, anche cambiaria e sia in forma di accettazione che in forma di cessione o girata, firmando Dini & Cellai”.
Nella denuncia d’esercizio relativa all’impiego di donne e fanciulli presentata alla Prefettura di Firenze e datata 23 gennaio 1914, viene dichiarata la presenza di due minori tra i 12 e i 15 anni, mentre non è dichiarata alcuna presenza femminile.
In questi anni la fabbrica, costituita da locali piuttosto angusti, era dotata di due motori elettrici della potenza di 3 cavalli-vapore. L’orario di lavoro dei fanciulli dai 12 ai 15 anni di età era dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 13:00 alle 17:00, mentre l’orario degli uomini è dalle 7:30 alle 12:00 e dalle 13:00 alle 17:00, con un posticipo di un’ora nei mesi da aprile a settembre, per sfruttare al meglio le ore di luce. Il riposo settimanale era la domenica. In quel periodo l’azienda occupava ventisei operai, ventiquattro maschi e due “fanciulli”.
Il 19 dicembre 1919 la società venne messa in liquidazione e al suo posto pochi giorni dopo si costituì una società per azioni che prese il nome di Società Anonima Dini & Cellai.
Tra i soci, oltre ai soliti Giuseppe Cellai e a Gino Dini, quest’ultimo anche per conto dei fratelli Lorenzo e Augusto, figuravano alcuni membri dell’aristocrazia fiorentina ‒ come il marchese Rodolfo Peruzzi de’ Medici o il conte Piero Guicciardini ‒ , diversi industriali ‒ tra cui Oreste Cinelli fondatore di uno dei maggiori cappellifici di Signa ‒, commercianti e professionisti per lo più fiorentini. Prese parte alla società anche il famoso tenore Enrico Caruso, grande estimatore delle terrecotte provenienti dalla Manifattura di Signa e proprietario fino dal 1906 della villa di Bellosguardo posta nel comune di Lastra a Signa. La nuova società mantenne come oggetto “la fabbricazione di terrecotte artistiche di Signa e affini” ma vi aggiunse anche “il commercio di oggetti d’arte industriale”.
Negli anni Venti la fabbrica continuò a produrre Ceramiche per arredi, statue e pannelli ornamentali, come si evince da una fotografia che ritrae le maestranze e i giovani apprendisti intenti alla realizzazioni di oggetti, forme e modelli. In sostituzione del defunto presidente, il cav, Ottavio Dilaghi, venne nominato presidente della società il conte Piero Guicciardini.
Dalle voci elencate nel bilancio chiuso al 31 dicembre del 1920 possiamo dedurre il valore complessivo attribuito a merci, modelli, forme, cataloghi, cliché fotografici, terreno e fabbricato, stipendi, clienti, fornitori; inoltre apprendiamo che la partecipazione alla fiera campionaria di Milano costò “lire 3.957 e 40 centesimi”.
La relazione che accompagnava il bilancio evidenziava risultati davvero insperati per il primo anno di attività, considerando soprattutto le difficoltà dovute alla ristrettezza dei locali che non consentivano di portare a termine le numerose commissioni ricevute alla galleria di Firenze e alla fiera campionaria di Milano: "Vi invitiamo a non dimenticare che degli ottimi risultati ottenuti ne siamo in gran parte debitori alla solerte opera del presidente, dei consiglieri delegati e dei consiglieri, assistiti con encomiabile attività del personale tutto".
Tuttavia dopo pochi mesi venne deliberato di aumentare il capitale sociale per sostenere la perdita di denaro che le spese per i lavori di una nuova fabbrica e l’aumento del costo di forme e modelli avevano determinato: "Signori vi abbiamo esposto con esatta verità lo stato dell’azienda che vogliamo sperare non vi impressioni soverchiamente, ma vi sproni ad infondere nei vostri amministratori la fiducia che la società, ormai assestata nel nuovo edificio con tutte quelle migliorie e comodità che la tecnica suggerisce di fare, possa mettersi in grado di sviluppare la massima efficienza, per ridare a voi ed a tutti maggiori soddisfazioni [...] Ai consiglieri delegati, uomini tecnici e corretti, il doveroso compito di procedere immediatamente con energia a riportare la società ad uno stato redditizio, applicando rigidamente la formula: ’produrre assai di più con molte spese di meno’, certi di avere compiuto tutto quanto il nostro dovere, vi rimettiamo il mandato che faceste l’onore di conferirci, bene augurando per i prossimi e continui bilanci. I sindaci Lumachi Giuseppe, Enrico Perfetti, Antonio Stianti".
Anche il successivo bilancio del 31 maggio 1922 si chiuse con una cospicua perdita e la società venne pertanto messa in liquidazione e definitivamente chiusa nel 1923:
"[...] molte sono state le cause che hanno portato la nostra società allo sfacelo. Prima fra tutte il periodo bellico ed il dopoguerra che paralizzò tutte le industrie, in particolare quelle artistiche, inoltre la scarsa potenzialità della produzione in rapporto anche alle spese generali che hanno superato talvolta i modestissimi utili dell’azienda, pur non dando alcun dividendo. Ed in ultimo quello di avere quasi impiegato l’intero capitale sociale nella costruzione dell’immobile, che potevasi evitare, specie nel periodo di guerra quando il materiale e la manodopera sono enormemente cari. Nessuna illusione quindi possono farsi i signori azionisti per il rimborso delle loro azioni".
Nonostante la chiusura della manifattura, nel 1926 la Dini & Cellai è ancora menzionata in alcuni documenti dell’archivio storico comunale: il 12 agosto 1926 venne rivolta un’istanza al Podestà della Lastra per ottenere una ricevitoria postale anche nella frazione del Ponte a Signa; nella lista di industriali e commercianti che avrebbero potuto trarre beneficio dal nuovo servizio sono citate tre industrie di terrecotte artistiche, i Dini & Cellai e i Fratelli Pugi di Ponte a Signa e la Bertelli di Santa Lucia.
Le fonti documentarie finora consultate nella ricerca sono a questo proposito frammentarie e sembrerebbero indicare che nella sede della vecchia manifattura ci fosse già una nuova società denominata ATAS, Anonima Terrecotte Artistiche Signa. La ATAS è attestata infatti nel Censimento industriale e commerciale del 1927. È anche probabile che nonostante il cambio di proprietà l’ATAS venisse ancora comunemente indicata come la Dini & Cellai.
Negli anni Trenta la Pasi fu convertita in fabbrica di cappelli di paglia e di caschi per le truppe coloniali del regime fascista.
L’azienda dei Pasi, denominata successivamente Columbus, divenne una delle maggiori aziende del territorio delle Signe, con la produzione di pneumatici per macchine agricole e per il settore automobilistico che dal dopoguerra fino della fine degli anni Sessanta crebbe in maniera esponenziale. Il gruppo Gover S.p.a. rilevò la fabbrica dei fratelli Pasi creando l’Alfa Columbus. Infine, dopo la chiusura di questa fabbrica, gli immobili vennero acquistati dall’Amministrazione comunale e sono adesso la sede del presidio di zona della Azienda Sanitaria Locale.
(Forme di storia, 117-123)
Forme di storia: la ceramica nel territorio di Lastra a Signa
Luogo
Lastra a Signa
Titolare dei diritti
Biblioteca comunale di Lastra a Signa, titolare dei diritti delle immagini digitali
Titolo
Dini & Cellai

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Marchio di fabbrica Dini & Cellai Prodotto da Oggetto fisico
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Caruso, Enrico Tipo di relazione CPF person